Da Treviso l’appello di alcuni esperantisti per rilanciare una lingua per tutti i popoli
Quando andiamo all’estero, se dobbiamo affrontare lingue che non conosciamo, spesso ci arrabbiamo e diamo la colpa agli altri che non capiscono, che non ‘ci’ capiscono.
Come sarebbe bello se capissimo tutti la stessa lingua… E chissà quante volte ce lo siamo detti, sospirando e pensando a quella benedetta Torre di Babele che, secondo il mito narrato dalla Bibbia, sarebbe stata la causa principale dell’incomunicabilità – e quindi discordia – tra gli uomini. Certo, l’inglese ha fatto venire l’appetito in tal senso rivelandoci come sarebbe comodo e prezioso parlare tutti lo stesso linguaggio. Ma la lingua anglosassone non ha risolto affatto questo problema, come qualcuno potrebbe pensare. Anzi, ha solo raccolto il sogno di un uomo che consacrò la propria vita a questo progetto: Lejzer Zamenof, l’inventore della lingua Esperanto.
Di questo si è parlato qualche tempo fa a Treviso nel corso dell’incontro “L’idea di una lingua universale e l’Esperanto”, tenuto dall’Auser al Palazzo Municipale. Ospiti: la professoressa Francesca Meneghetti, studiosa storica e i due esperantisti, Ottorino Carotta e Paolo Rottin. “Confesso di esser stata perplessa di fronte a questo progetto linguistico che è l’Esperanto – ha ammesso la studiosa Meneghetti – perché si tratta di una lingua slegata da una civiltà. Poi ho scoperto qualcosa di assolutamente stupefacente che neppure immaginavo. Nel film ‘Il grande dittatore’ di Charlie Chaplin vi sono scritte, apparentemente astruse ma in realtà in Esperanto, una lingua che venne vietata e combattuta sia dal nazismo che dallo stalinismo e di cui oggi non ci si è dimenticati”. Scrive infatti Umberto Eco in “La ricerca della lingua perfetta” (1993): “La storia delle lingue perfette è la storia di un’utopia e di una serie di fallimenti. Ma non è detto che la storia di una serie di fallimenti risulti fallimentare. Se pure fosse la storia dell’invincibile ostinazione a perseguire un sogno impossibile sarebbe pur sempre interessante – questo sogno – conoscere le origini e le motivazioni che lo hanno tenuto desto nel corso dei secoli” (p. 25). “Credo che questa lingua inventata – afferma Francesco Sabatini dell’Accademia della Crusca – abbia un’ultima possibilità di radicarsi… quella di diventare la lingua ufficiale dell’informatica. In fondo si tratterebbe di imparare un centinaio di parole. Ma attenzione, non parlo di sostituzione del linguaggio software di programmazione, ma della divulgazione della terminologia tecnica…”
Nel 2003 è scesa in campo a favore dell’Esperanto anche Irene Bignardi che in “Piccole utopie” scrive, citando Emma Bonino: “L’uso di una lingua etnica (in questo caso l’inglese) comporta notevoli problemi di apprendimento e in particolare di colonialismo culturale e ineguaglianza politica… Comunità di linguaggio volontaria, non etnica, non territoriale, non colonizzata, non ineguale, come aveva sognato il creatore dell’esperanto…”.
Ma chi era Lejzer Zamenof?
Lejzer Zamenof, prima ancora che inventore dell’Esperanto, è un ebreo che nasce nel 1859 in Lituania, allora terra polacca sotto il dominio dello Zar, in un ambiente segnato da accesi nazionalismi e forme di antisemitismo, racconta la Meneghetti. “Zamenof è laico più che sionista e persegue un sogno che non è il ritorno alla Terra Promessa, ma un ideale di concordia tra i popoli, supportato da una lingua universale, tanto da comporre un pamphlet a favore della fratellanza e della filantropia (homaranismo)”. Afferma Zamenof spiegando cosa sia l’homaranismo: “A chi mi domanda a qual popolo io senta di appartenere, rispondo: all’Umanità. In ciascun uomo vedo soltanto un uomo e lo apprezzo secondo il suo personale valore e le sue azioni. Qualunque offesa o sopraffazione di un uomo per la sua appartenenza a un’altra lingua, religione o classe sociale è per me un atto di barbarie…” Nel 1887 esce il suo libro ‘Doktoro Esperanto’, edito in russo e dedicato alla Lingua internazionale. Le adesioni alla sua proposta, messa al bando dal governo zarista come poi dal nazismo, sono immediate: Tolstoj, Russell, Verne e l’odierno Partito Radicale per citarne solo alcuni.
C’è un nuovo bisogno di utopia?
“Il fatto che ora l’Esperanto – afferma la Meneghetti – sia oggetto di attenzione da punti di vista diversi (ideologico, linguistico, informatico) può diventare ancora più interessante della questione relativa al suo destino. Se si ripropone il suo ‘mito’ significa che ce n’è bisogno o, almeno, che molti pensano che sia necessario. La domanda cruciale allora è ‘perché ora?’ Non ha importanza il fatto che non siamo in grado di rispondere adeguatamente: importante è aver presente la domanda. Afferma Eco: sino a ora le lingue veicolari si sono imposte per forza di tradizione… o per egemonia politica. Non esiste insomma – continua la Meneghetti – il caso di un’autorità sopranazionale che decide di imporre una Lia come lingua franca, ma ciò non significa che non possa accadere in futuro anche in relazione alla tendenza di rafforzare l’unità politico-economica dell’Europa e quella, quasi opposta, a valorizzare le lingue nazionali e minoritarie”. Per quanto riguarda la molteplicità delle lingue che rappresenta ciascuna un popolo bisogna proprio considerare questa pluralità un dis-valore, mentre tendiamo ad attribuire valore alle differenze etniche, religiose e culturali? In effetti, come dice lo psicologo junghiano J. Hilman, non è detto che la lingua universale debba essere astratta: può essere costituita da un universo di immagini archetipe acquisite con l’esperienza naturale. Ovvero la luce delle stelle, il latrato di un cane, il fumo della legna, il profumo del pane, la mano di un bambino nella nostra…. Esperienze traducibili con il comune sentire e con linguaggi che non sono puramente verbali.
L’Esperanto oggi
Oggi l’Esperanto è tutt’altro che un’utopia e né le persecuzione né gli eventi della Storia hanno saputo cancellare la realtà di questo sogno. Ma in cosa consiste e come opera? “Esiste un’Accademia di Esperanto – spiega il professor Ottorino Carotta (Gruppo Esperantista Sile di Treviso) – che si riunisce periodicamente per accogliere nella lingua i nuovi termini della vita quotidiana e della scienza. E’ una lingua con cui si può parlare di tutto. Quando impariamo una lingua straniera, compiamo un’operazione artificiale, lunga fin dall’inizio. Anche l’Esperanto è una lingua che dobbiamo apprendere secondo questa modalità, con la semplice e sostanziale differenza però che non esistono eccezioni alla regole, le parole hanno un solo significato e la pronuncia è tale che non si può sbagliare. L’inglese è diventato una lingua egemone ma finisce coll’eliminare le altre lingue e col portare presso altri popoli il proprio modo di pensare e vivere. Roma distrusse le lingue precedenti rendendole un substrato linguistico e gli Inglesi lo hanno fatto in Nord America con i Nativi. In America Latina gli spagnoli non sono riusciti a fare lo stesso per motivi e difficoltà geografiche”.
Una lingua naturale
L’Esperanto invece appare come la lingua che più si avvicina alla Natura e nelle famiglie esperantiste i bambini lo apprendono come linguaggio naturale. E’ una lingua fissa anche se in bocca a tedeschi e inglesi, per esempio, lo si avverte in modo diverso. Ma si tratta solo di differenze fonetiche. Ci sono proverbi, epigrammi, rime, satira: la lingua si presta davvero a tutto. Vi è una letteratura formata da opere scritte in Esperanto e opere tradotte come la Bibbia, il Corano e la Divina Commedia per citarne alcune. La bandiera è formata da una stella verde in campo bianco e rappresenta un vero popolo, unito dagli stessi principi e dalle stesse intenzioni. “Non è la lingua di nessuno – aggiunge Carotta – ma vorrebbe essere la lingua di tutti. Ogni anno perdiamo alcune lingue perché vengono ridotti i popoli che le parlano o perché sono costretti a rinunciarvi per meglio adattarsi al mondo. Zamenof visse in un momento storico e in una terra piena di lingue dove la mancanza di comunicazione e comprensione poteva costare la vita. Egli conosceva molte lingue e proprio per questo riuscì a creare una grammatica contemporaneamente naturale e facile, dove si ritrovano radici latine. Per fortuna oggi, grazie a Internet, la diffusione e il contatto sono più facili e immediati”.
Come imparare l’Esperanto? Imparare l’Esperanto è molto facile. Se si digita la parola ‘Esperanto’ nei motori di ricerca di Internet si approda a siti specialistici dove, oltre a materiali e contatti, si possono trovare corsi on line gratuiti per imparare la lingua. Anche i gruppi distribuiti in tutto il mondo si mettono a disposizione di chi volesse apprendere la lingua. Il Gruppo Esperantista Sile di Treviso propone da anni corsi gratuiti e rapidi e si incontra periodicamente ogni due settimane per condividere momenti comuni, parlare e proporre riflessioni. Per maggiori info compilare la mail soprastante che verrà debitamente fatta pervenire al Gruppo Esperantista trevigiano.