Vorrei proporre ai lettori di Tg0 un brano estratto dal libro “Anatomia della speranza”, scritto da Jerome Groopman (Edizioni Vita e Pensiero).
L’autore, medico oncologo membro della National Academy of Science, insegna alla Harvard Medical School e dirige il reparto di Medicina sperimentale del Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston. Nel suo libro – che consiglio a tutti di leggere per le tematiche che affronta e per le esperienze dirette di cui tratta – descrive molti dei pazienti con cui ha avuto a che fare nel corso della sua brillante carriera, compreso se stesso. Sofferente per venti anni di ernia a un disco lombare, risolve il suo problema al Baptist Hospital di Boston, frequentato da molte personalità tra le quali i Kennedy e i maggiori atleti americani. Qui ha inizio il suo viaggio verso la guarigione e verso un orizzonte affascinante: la mente. Quanto segue tratta di alcuni esperimenti di cui è venuto a conoscenza affrontando questo argomento.
Sarebbe bello se contribuiste con il vostro pensiero e la vostra esperienza.
Paola Fantin
Man mano che invecchiamo, cambiamenti degenerativi si verificano nelle nostre articolazioni a causa dell’usura legata alla vita di ogni giorno, all’esercizio fisico e al lavoro. Una delle articolazioni più spesso colpite è il ginocchio, le cui alterazioni degenerative sfociano nell’artrite. I sintomi principali sono il dolore e la limitata mobilità del ginocchio, che spesso rendono impossibili attività come correre, saltare e, nei casi più gravi, camminare. Quando la terapia antinfiam-matoria non riesce a mitigare il dolore dell’artrite del ginocchio, è raccomandato l’intervento chirurgico. L’operazione è effettuata in artroscopia, una tecnica con la quale il chirurgo può visualizzare le aree di degenerazione della cartilagine, asportarle (un procedimento detto ‘sbrigliamento’) e procedere al ‘lavaggio’, cioè all’eliminazione, con appositi fluidi, delle sostanze infiammatorie accumulatesi nell’articolazione. Ogni anno, più di 650mila artroscopie sono effettuate alle ginocchia soltanto negli Stati Uniti, a un costo di circa 5000 dollari per intervento.
Nel luglio del 2002, il «New England Journal of Medicine» ha pubblicato uno studio pionieristico che ha dimostrato l’effetto dei placebo sul dolore nelle malattie muscolo-scheletriche. Ricercatori del Baylor College of Medicine di Houston hanno misurato rigorosamente la riduzione del dolore e il miglioramento funzionale sia dopo un’artroscopia per osteoartrite del ginocchio sia dopo un intervento placebo.
Centottanta pazienti sono stati assegnati in modo casuale allo sbrigliamento, al lavaggio artroscopico o a un intervento chirurgico simulato. I pazienti del gruppo placebo venivano portati in sala operatoria, la parte interessata veniva trattata con disinfettante e circondata di drappi sterili. Il chirurgo chiedeva tutti gli strumenti utilizzati in un vero intervento e manipolava il ginocchio come durante una vera artroscopia. In realtà venivano praticate piccole incisioni nella cute intorno al ginocchio, senza l’introduzione dell’artroscopio. Una soluzione salina era poi utilizzata per simulare i rumori del lavaggio. I pazienti del gruppo placebo erano trattenuti nella sala operatoria per lo stesso tempo dei pazienti sottoposti al vero procedimento; passavano anch’essi la prima notte dopo l’intervento in ospedale ed erano assistiti da infermieri all’oscuro della simulazione. Tutti e tre i gruppi – del lavaggio, dello sbrigliamento e del placebo – ricevevano le stesse cure postoperatorie, che comprendevano assistenza nei movimenti, un programma di esercizi graduali e una terapia analgesica. In seguito, furono tenuti sotto controllo per due anni, con un monitoraggio che includeva il livello di dolore, i cambiamenti funzionali relativi alla velocità a cui camminavano e la distanza che riuscivano a percorrere, nonché altre attività che coinvolgevano l’articolazione del ginocchio.
Come previsto, i pazienti sottoposti ad artroscopia ebbero una diminuzione del dolore al ginocchio e un miglioramento funzionale. Ma anche il gruppo placebo ottenne un uguale beneficio. La sera in cui l’articolo fu pubblicato, guardai il telegiornale. Il programma mostrò un attempato signore afroamericano che per la prima volta da anni giocava a pallacanestro col nipote: faceva parte del gruppo placebo.
Come spiegare un simile risultato? Probabilmente, la convinzione e l’attesa – provate sia durante il trasporto in sala operatoria, sia ascoltando il chirurgo che chiedeva gli strumenti, sia udendo il rumore di liquidi del presunto, salutare lavaggio del ginocchio – avevano liberato le potenti endorfine ed encefaline documentate da Benedetti nei suoi esperimenti. Con la differenza che in questo caso l’esperimento non era stato effettuato in laboratorio con normali volontari, ma in un trial clinico con soggetti affetti da una patologia dolorosa e invalidante.
Il dolore era l’ostacolo che impediva a questi malati di esercitarsi, rafforzando i loro muscoli e i loro legamenti. Superato quell’ostacolo grazie agli effetti della mente, la necessaria riabilitazione aveva potuto procedere. Senza la speranza, niente sarebbe cominciato. La speranza rappresenta una possibilità di reale miglioramento. Da’ la possibilità di superare intralci che altrimenti non riusciremmo a lasciarci alle spalle, e di giungere là dove la guarigione può avvenire.